THE INFORMER

2010/09/03

Non è un paese per vecchi


La domenica di Ferragosto è stata la prima volta che sono andata a Kibera.
Il lunedì avremmo cominciato a lavorare e il giorno prima siamo andati a fare un sopralluogo per vedere il posto.
Non avevo visto ancora molto di Nairobi. A posteriori ho scoperto che Nairobi, non è la vera Nairobi. È il risultato di quello che i Kenyani ricchi e gli stranieri (cioè una minima parte della popolazione) vogliono far passare per una città moderna e benestante.
Ma kibera è li, è dentro la città, è le viscere della città. Lì pulsa la vita di un milione di persone (una delle più grandi slum al mondo, 300.000 persone per kmq) che devono, in qualche modo, arrivare al giorno dopo.
Mi ricordo benissimo la sensazione che ho avuto il primo giorno che ho messo piede in una favela di Salvador. Mi era servito un po’ per riprendermi. E pensavo di essere preparata allo “spettacolo”. Invece no. Forse perché a certe cose, non si può mai essere preparati.
L’edificio in cui lavoriamo è all’estremità di una via che costeggia Kibera. Per cui per arrivarci, si passa in mezzo a questo stradone di almeno un paio di kilometri. Per tutto il tragitto non credo di aver detto una parola. Descrivere il posto è abbastanza complicato. (vorrei sempre fare tante foto. Ma un po’ ho paura. Un po’ mi vergogno. In fondo, non c’è niente da fotografare). La via era un susseguirsi di baracche (pochissime in muratura) adibite ad esercizi commerciali: c’è il parrucchiere, il fruttivendolo, quello che vende scarpe, quello che le lucida, quello che vende pannocchie, c’è il negozio (si può chiamare negozio?) di cellulari, c’è quello che vende vestiti usati, ci sono i pub, ci sono gli hotel. Ma, non c’è nulla e dico nulla che ti ricorda un parrucchiere, un pub o un fruttivendolo per come noi siamo abituati ad intenderlo. C’è gente per strada, gente seduta che, semplicemente, non fa niente.
Questo è stato il primo impatto. Perché poi, lavorandoci giorno dopo giorno (ormai da tre settimane), la sensazione è, se possibile ancora peggiore.
Comunque. Dopo un paio di km così, arriviamo quasi alla fine della strada. Il quartiere di Kibera si chiama Kianda. La strada è un po’ in salita. E dal nulla spunta una recinzione e un cancello chiuso davanti al quale si ferma il taxi. Entriamo in questa oasi nel deserto. Una cattedrale nel nulla. Si tratta di un edificio bianco, molto spartano, ma solido e in muratura, con un tetto, e i bagni. È stato donato alla comunità di Kianda da due italiani. L’hanno finito di costruire pochi mesi fa. Ci sono 4 aule, con banchi e sedie. Noi lavoriamo qui. Recintati, come sempre. L’edificio è un po’ rialzato rispetto allo slum. Per cui si ha una panoramica che lascia senza fiato. Una infinità di casupole, baracche non so neanche io come definirle, tutte lamiere in ferro arrugginito, che formano un’unica macchia marrone che si perde a vista d’occhio.
Tutti i giorni sto a kibera dalle 9 alle 4. E osservo, il più possibile. Osservo i bambini. A Kibera ci sono circa 60.000 orfani a causa dell’Aids. I bambini giocano nello spiazzo di terra davanti a noi, ininterrottamente. Non vanno a scuola, non vanno a casa per pranzo, ammesso che abbiano una casa. Si rotolano nel fango. Vivono nell’immondizia. Kibera è una discarica, non esiste il senso del buttare l’immondizia nel secchio, visto che non esistono cassonetti. Il terreno è il cassonetto, dove poi si cammina, dove poi i bambini giocano. Tutti hanno la televisione, ma nessuno ha l’acqua. Le case, si fa fatica a crederci, sono tutte in affitto. Cioè: qualcuno paga mensilmente per viverci.
Non esistono neanche bagni, non so se mi spiego.
I ragazzi con cui lavoriamo (molti sono di Kibera) sono fantastici. Parlando con loro sto imparando molte cose sui problemi politici del Kenya, i problemi di etnia (esistono più di 30 tribù), i problemi economici.
La cosa più triste che ho notato è che, in fondo, ci si abitua a tutto. In qualche modo, purtroppo ci si abitua. E allora Kibera sembra una realtà che sta li e che è senza tempo, immodificabile.
“Non è un paese per vecchi”è la considerazione che faccio più spesso. Non ho mai visto un anziano. Ed è una considerazione scoraggiante.

Vi penso tanto, anche perché, come potete immaginare, mi mancano le spensierate serate EEBL!

12 comments:

silvia said...

Alla fine ce l'hai fatta..hai scritto, hai elaborato..e hai trasmesso tutto quello che senti con parole chiare, lucide e disarmanti, che piombano addosso come macigni.
Ti abbraccio forte, a presto...

francesco said...

x una volta non so che dire...
bella alice! grazie e un bacio!

Anonymous said...

Abbiamo il dovere di leggere, di inorridire e di riflettere, quello che siamo e quello che facciamo DEVE servire ad evitare questo. Ora che molti di noi stanno scegliendo quello che faranno "da grandi" mi permetto di dirvi: "cercate un senso in quello che fate, quale è l obiettivo del vostro lavoro?"

fra said...

Ho esitato a rispondere perchè veramente mi ha lasciato un pò così questo post..toccante sul serio..ali stringi i denti, e son sicura che sarà un esperienza che ti lascerà il segno in tt i sensi...un bacione

Vito said...

Grazie Ali per aver condiviso queste immagini con tutti noi!Anche se nella spensieratezza delle nostre vite capire quello che stai vivendo te credo sia comunque impossibile :) dajeeee siamo fieri di te :)

Anonymous said...

ereditiamo un mondo che è veramente il peggiore dei mondi possibili. Non penso che saremo all'altezza del compito di risistemarlo...tutto continuerà come prima, e l'Africa sarà ancora il Continente dimenticato

el humanista said...

"[...] L'Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. E' un oceano, un pianeta a sè stante, un cosmo vario e ricchissimo. E' solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l'Africa non esiste".
[R. Kapuscinski - Ebano].

Ruba tutto con gli occhi. Sarà bello guardarli, al tuo ritorno. e buona fortuna.

r. said...

penso ci tutto abbia un senso; non la miseria e la disperazione. però non è un caso che proprio tu sia lì. è dura ali, ma stai facendo qualcosa di concreto ed importante, e questo non possono dirlo tutti (me compresa). tieni duro!

Manu said...

Wow...leggendo il tuo post ho capito che non è per niente facile!
Un po me lo ero immaginato ma non proprio così.
Vivi al massimo questa esperienza perchè non è da tutti i giorni capire quanto siamo fortunati!

Roxy said...

Grazie Alice.
Ho letto queste frasi e le ho immaginate raccontate dalla brillantezza dei tuoi occhi. Ti abbraccio.

Unknown said...

Ciao Ali!
Ho letto il post e cercavo di vedere quello che vedi attraverso i tuoi occhi. Fissaresti per ore quel panorama che vedi dalla finestra del tuo palazzo, ma devi fare il tuo lavoro, devi mettere grinta, stringere i denti, perchè grazie anche a te, piano piano, tutto quello che vedi, deve scomparire, in qualcosa di meglio, in qualcosa di bello!

VAI ALI, NOI TI SIAMO ACCANTO COL CUORE

;)

Irene said...

questo post ci ha scombussolati tutti Ali...
provo ad immaginare cosa senti quando chiudi gli occhi prima di addormentarti.
Forse un misto di rabbia, paura, malinconia e smarrimento. Ma allo stesso tempo credo tu sappia dentro di te che non avrebbe senso essere in nessun altro posto se non lì.
Ti siamo tutti vicini e ti aspettiamo a braccia aperte

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